Ignazio Fresu CENERE “il labirinto della memoria”
Attraverso la fragilità, la precarietà e la deperibilità, nei miei lavori ricerco l’intrinseca bellezza di cui è permeata la transitorietà, riconoscendole valore estetico. Con l’uso di materiali palesemente vulnerabili, attraverso un linguaggio d’ossidazioni, opacizzazioni, scolorimenti, screpolature, macchie, incurvature, restringimenti, avvizzimenti, scollamenti, muffe, graffi, scheggiature, ammaccature, sfregi, tacche, sbucciature e altre forme di deterioramento, nel realizzare oggetti stremati, disidratati, sul punto di smaterializzarsi, rimando ai meccanismi e alle dinamiche più delicate dell’esistenza in aperto contrasto col mondo circostante, patinato, plastificato, che ha assunto a modello l’apparenza ostentatamente esteticizzante, incapace, anche solo di ipotizzare, che tutte le cose sono temporanee e la tendenza verso il nulla è inesorabile e universale. Noi non sappiamo se ciò sia un atto d’evoluzione o di regressione dal nulla o verso il nulla, e se il nulla sia uno spazio vuoto o d’infinite possibilità. Ciò probabilmente non ha alcuna importanza, conta l’esserci per cogliere la bellezza dell’evento dinamico capace di modificare lo stato di consapevolezza in un momento di poesia. Ignazio Fresu
Cosa succede quando un tronco di legno brucia? Si distrugge e al suo posto rimane un cumulo di cenere. L’idea che una cosa che è, che esiste, possa d’un tratto scomparire nel nulla, applicata agli esseri umani, riempie la vita di terrore per il niente che li aspetterebbe dopo la morte. La risposta al trauma del divenire sta nel fatto che la scomparsa delle cose non può contraddire la legge fondamentale dell’ontologia: l’impossibilità che l’essere diventi nulla. Lo svanire del tronco sotto il lavorio delle fiamme, piuttosto, determinerà il suo trasferirsi altrove, poiché la legna, che non è cenere, non può diventarlo. La visione nichilista dell’Occidente, connessa al divenire, è la disperazione dell’uomo che nella precarietà e nell’effimero, vive la sua esistenza. Il divenire inteso come nichilismo pesa sulla nostra esistenza e sulla nostra coscienza come un macigno, influenza il nostro agire, il nostro pensiero, celando l’essenza della vera Bellezza. Il senso di questo mio lavoro s’incentra nel riconoscimento dell’intrinseca “bellezza” di ciò che è effimero, nel momento in cui non è più al vertice del suo apparire. Esiste una bellezza che si manifesta sia negli equilibri precari, sia nell’apparenza delle cose. È una bellezza interiore, non nichilistica, è l’anima delle cose che si svela al di là del loro apparire. Di quell’apparire che, nel pensiero Occidentale, attraverso la fede nel divenire, è nascondimento del volto autentico di ciò che è, nell’indiscussa convinzione che il divenire sia un uscire dal nulla e un ritornarvi. La bellezza che esiste nelle cose è ciò che permane come sostrato del divenire, non solo come manifestazione di ciò che è mutato, ma nell’atto stesso del mutare. E se pur incapace di riconoscere un principio e una fine per ogni cosa, appartengo a questo moto dove ogni cosa si mostra soggetta al tempo e alla trasformazione, così che il Divenire s’impone come la sostanza stessa dell’Essere e nel mio agire artistico diventa forma. Così anche quello che sembra statico alla percezione sensoriale, lo identifico come dinamico e in continuo cambiamento. In questa particolare bellezza è possibile trovare una chiave di decodifica del divenire come somma di opposti che convivono nelle cose e continuano ad esistere anche una volta che non sono più percepibili. Cenere ripercorre i ricordi, gli oggetti e le persone che mi sono appartenute, sono state parte della mia infanzia e che ora sono cenere nell’illusione del mondo a cui apparteniamo. È la ricerca di una consapevolezza che le cose che non vediamo più non sono improvvisamente entrate nel nulla, ma sono semplicemente scomparse dall’orizzonte degli eventi, ma continuano ad esistere in una dimensione che non è quella apparente. Ed è in questo divenire che risiede l’eternità di tutto.