Per Pippo Oriani, rampollo di una famiglia della migliore borghesia torinese, il destino ha il nome e il volto di Enrico Prampolini. Nato a Torino nel 1909, il ragazzo è solo uno studente d’architettura senza alcuna esperienza in campo artistico quando Prampolini, a sorpresa, inserisce due sue opere alla Prima Mostra di Architettura Futurista, organizzata nel 1928 alla Promotrice Torinese. L’episodio segna l’inizio di un lungo sodalizio con gli esponenti del gruppo futurista torinese, di cui, nel ’36, alla morte del leader carismatico Fillia, Oriani diventerà capofila.
Oriani sposa con convinto entusiasmo la causa futurista della modernità e poiché, sul finire degli anni ’20, Parigi della modernità è ancora la capitale, il giovane artista preme per partire. Quel sogno non è facile da realizzare in una situazione politica in cui chi, come lui, ha evitato l’iscrizione al P.N.F, fatica ad ottenere un passaporto. Nel 1929, il rilascio dell’agognato lasciapassare, ottenuto grazie all’intervento di Marinetti, consente l’inizio di un soggiorno di formazione che durerà sino al 1933.
Mentre è impegnato ad elaborare una sua personale e smagliante rivisitazione di nature morte cubiste, composizioni con strumenti musicali alla Severini e Arlecchini picassiani, Oriani tiene d’occhio le novità che arrivano dall’Italia, dove, alle soglie degli anni Trenta, l’avvento dell’aeropittura rilancia l’arte futurista.
Le opere pubblicate nel catalogo generale evidenziano con chiarezza la sua adesione al filone idealista cosmico di quella ricerca, un indirizzo teorizzato da Prampolini e Fillia. Per gli aeropittori idealisti il tema del volo non è orientato all’esaltazione della conquista dei cieli attraverso la macchina volante, ma piuttosto ad esprimere un afflato verso la dimensione spirituale dell’esistenza.
Gli interessi di una personalità versatile come quella di Oriani non possono però che portarlo oltre la pittura. L’amicizia di Prampolini gli apre le porte della scenografia e del cinema d’avanguardia. In questo contesto realizza, con gli scrittori Tina Cordero e Guido Martina, il film futurista Vitesse (Velocità), presentato in prima mondiale a Parigi nel 1931. Nel lungometraggio, il tema dei “residui del romanticismo” nella vita di una coppia viene trattato in maniera simbolica attraverso la creazione di visionarie coreografie di oggetti della vita quotidiana ai quali il montaggio dei fotogrammi conferisce movimento. E’ inoltre noto che Oriani aveva lavorato al progetto di un cartone animato su Petrolini, i cui disegni sono purtroppo andati perduti.
In parallelo prosegue la sua ricerca come architetto, decoratore d’interni e designer. Fondamentalmente, l’artista si sente impegnato in un progetto di divulgazione dell’arte d’avanguardia che passa attraverso la promozione di una rivoluzione del gusto corrente proprio nel campo della decorazione dei luoghi dove si svolge la vita quotidiana. Dopo gli anni della guerra, che lo vedono unirsi alla lotta clandestina antifascista, smette di dipingere per consacrarsi al lavoro di architetto.
Il tempo però spesso riserva agli uomini indomiti gradevoli sorprese. Il volume che cataloga l’opera pittorica dell’artista torinese non sarebbe infatti il ponderoso tomo che è se, negli anni ’60, un ritorno di interesse per il futurismo non spingesse il mondo del collezionismo a chiedere con insistenza all’artista cinquantenne opere sullo stile di quelle realizzate in gioventù. Ne potrebbe derivare una mera speculazione commerciale, se Oriani non sapesse tramutare le pressioni del mercato nello stimolo per una nuova, torrentizia stagione creativa. Recuperando i soggetti di sempre – le nature morte, le maschere del circo e della Commedia dell’Arte, i motivi formali dell’aeropittura – il pittore porta a compimento l’elaborazione di un suo personalissimo stile, vitale ed allegro, tanto neo-cubista che neo-futurista. Modula il colore con gioiosa freschezza, passa dalla ritrovata tecnica del collage alla scoperta dell’encausto. “Oriani” – scrive Giovanni Lista – “vuole insomma creare una sorta di esperanto dell’arte d’avanguardia, mescolando gli stili, le tecniche, le forme ed i segni che hanno caratterizzato e differenziato le ricerche della prima e della seconda metà del secolo.”
La festa delle forme e dei colori – per Mariastella Margozzi “molto più di una rivisitazione o di un revival”- viene tragicamente interrotta l’8 dicembre 1972 dalla morte sopravvenuta in un incidente automobilistico. (Scarlet Matassi)
La storia raccontata da Giovanni Lista e Mariastella Margozzi nel Catalogo Generale delle Opere di Pippo Oriani è quella di una carriera precoce e veloce, né avrebbe potuto essere diversamente trattandosi della vicenda di un artista oramai riconosciuto come uno degli esponenti di spicco del cosiddetto Secondo Futurismo, cioè la fase del futurismo cronologicamente compresa tra le due guerre.