Piero Pompili. La Fotografia può essere fredda, funeraria, testimonianza di una traccia irrimediabile di esistenza-vita incorniciata in un rettangolo che ci parla soltanto della propria irripetibilità. Non tutti i fotografi restano prigionieri di questa virtualità, e sono coloro che attraverso la fotografia esprimono, come ogni altro artista, se stessi.Di questa schiera e’ Piero Pompili. Pare vederlo, Pompili, con una sua camera in giro per Roma, lesto come un voleur d’image, cercando sempre di scaricare in ciò che vede il segno della propria vitalità e della propria passione d’osservatore.Pompili non strappa vita alla vita: ce la rovescia sopra. Bisogna conoscere bene Roma e sapere quanto oggi sia una città piagata, offesa, lacerata dal suo stesso essere metropoli. Ebbene, Pompili i suoi scatti li cattura al di la’ di questa lacerazione, pur essendo la lacerazione di per se’ il suo tema. L’ occhio gli si riempie di corpi, di materie residuali, di cancerose infelicita’ urbane. Ma il suo e’ uno sguardo che taglia, inquadra le situazioni con la felicita’ di un pittore. Pompili lavora d’istinto: non lavora, come si dice, =sui provini=. E’ proprio la sua mano che conduce, diciamo così, le immagini a maturazione: anzi, secondo il pensiero di Cartier-Bresson, le sue gambe. Il miglior obiettivo sono le gambe, sosteneva Cartier-Bresson: ti allontani, ti avvicini… Credo che Pompili lavori con questo principio ben presente alla mente.
Userà anche il grandangolo, quell’obiettivo veloce che gli consente di scattare a sorpresa, senza che il soggetto se ne accorga: userà anche il tele e il medio tele-ama il 50 mm., sostiene,-comunque, le sue fotografie ci fanno avvertiti che il lavorio e’ tutto sui garretti. Poi viene la pasta di superficie: la qualità di stampa, per cui il bianco e nero, si esalta, si fa crudele o si fa morbido. Pompili e’ un espressionista, ma non perché ha voglia di deformare, dilatare, violare qualcosa che sarebbe bene non violare. Di per se’ la realtà di Roma e’ stata sempre una realtà fin troppo bulinata o sovraesposta. La Roma che affascina cioè’, accanto a quella storica: la Roma delle periferie, del tranvetto delle vicinali, la Roma di sud-est, la bellissima e straziata Roma umana. Di questa Roma Pompili ne fa una personalissima pittura, anche se ci senti dietro una cultura visiva che va da Vespignani, dai neorealisti fino alla plasticità pasoliniana. Pero’, badiamo bene, nel nostro fotografo agisce una cultura d’artista, tutta istintuale. Non so se Pompili abbia mai visto il cinema di Elio Petri, e in particolare “I giorni contati”. Ma la sua poesia nasce da un’ottica paragonabile: dalla fisiologia dell’esistenza, dal dolore che il corpo dell’uomo esprime o dalla gioia vitale di cui trasuda; e anche dal bisogno di scavare una verità possibile nel luogo che ci fa vivi.
Enzo Siciliano
“Cara Roma” mostra di Piero Pompili, marzo 1994.