Piero Pompili Non avevo l’età per apprezzarne l’arte quando il suo era un nome da schiavo. Poi, una sera in una famosa trasmissione Rai degli anni 60, Tv 7, passa con il bianconero dell’epoca un servizio che non dimenticherò mai. Muhammad Alì, a cui, dopo tre anni dal rifiuto di andare a combattere in Vietnam, era stata restituita la licenza per tornare sul ring. In questo servizio si vedeva Alì muoversi, nelle classiche schermaglie della boxe, a passo di danza facendo praticamente volare il suo poderoso, e bellissimo fisico da “Bronzo di Riace”. Le note di “smoke in your eyes” dei Platters sottolineavano il ritmo rallentato e fumoso delle immagini per avvallare la domanda contenuta nel commento giornalistico: ” La carriera di successo di Muhammad Alì, interrotta tre anni per il gran rifiuto alla guerra, era stata vera gloria o fumo negli occhi?” Tutti sanno come è andata la storia. Dopo la conclusione della carriera di quello che per me sarebbe diventato il più grande mito dello sport, non ho avuto più interesse per i pugili, perché quell’eleganza, quella leggiadria, quella bellezza, quella personalità, quel carisma è finita con la danza della splendida farfalla che pungeva come un ape. Non un ape qualunque, un ape che punge solo per giuste cause. Le fotografie dei “Gladiatori” di Piero Pompili mi hanno riportato a galla queste emozioni e parlando con lui, ai ricordi, si sono aggiunte le suggestioni della storia dei grandi di quella che era la noble art e che tanto bene fu raccontata anche da Alfredo Pigna nel suo libro: I re del ring Giorgio Bertozzi
Il combattimento sul ring diventa allora la diatriba primordiale tra bene e male. In realtà, nessuno vuole sapere chi vincerà tra i due: lo spettatore è attratto, come nella vita, quindi spettatore sempre di se stesso, sia dall’uno che dall’altro e solo nel contatto, nel combattimento riuscirà ad individuare l’armonia, il sogno di bellezza che i due poli opposti nel suo fisico attrarsi vengono a creare. (Andrea Caterini)