Mauro Bellucci è un cronista dei nostri tempi, la sua arte è espressa in modo forte ed allo stesso tempo essenziale affrontando tematiche quali: sport, cronaca, politica, attualità, spettacolo con lo spirito di osservazione dell’artista che coglie, mostra e propone
In questa serie di dipinti Bellucci affronta due tematiche opposte: il sacro e il profano. La particolarità sta nel fatto che i due soggetto condividono la stessa tela, Il sacro, con le storie del Nuovo Testamento, è un Europa immagini agiografiche dai colori brillanti; accanto ad essi il profano, donne dagli atteggiamenti allusivamente erotici sono rappresentate in una scala di grigi che va dal bianco al nero. Lo spaesamento dello spettatore nella ricezione di queste immagini è totale, non solo per il cortocircuito che si crea tra colore e monocromo, ma anche e soprattutto per il fatto che, a ben guardare ciascuno di questi lavori, si scorge una sorta di “dialogo” tra i due soggetti rappresentati, Irriverente? Sicuramente si. Cosa c’è di più insolente e sfacciato che opporre il fascinoso mito femmineo ai temi religiosi? Del resto tutta la ricerca di Mauro Bellucci si basa su un tipo di comunicazione improbabile, fatta di complesse dissonanze orchestrali. Ma questa volta Bellucci va oltre, perché le icone estrapolate dai cartelloni pubblicitari e dai mezzi di comunicazione di massa di cui tanto si parla negli ultimi tempi, che vedono il corpo della donna mercificato e ridotto a oggetto di consumo, vanno a scontrarsi con i temi ecclesiali che siamo abituati a vedere nei luoghi sacri. Entrambi gli argomenti sono però accomunati da un ironico paradosso, caratterizzato da tagli fotografici ed essenziali, liberi da qualsiasi tipo di azione o movimento che possa riallacciarli alla realtà. Ciò che ne rimane è fondamentalmente lo sguardo dello spettatore che tende a “cannibalizzare” il resto della scenografia. Con pochi suggerimenti e svincolato da qualsiasi condizionamento, il pubblico è invitato a cercare un trait d’union tra le donne –oggetto che ben rappresentano il degrado di una società alla deriva, e le storie sacre che fanno in qualche modo da contrappeso ad esse. Le tinte sono pure, mai mischiate: l’intensità dei gialli, i blu, i verdi e rossi accesi, sono delineati da un tratto nero che, oltre a simulare la tecnica vetraria, tende a smorzare quello che potrebbe apparire un aspetto ludico del colore impiegato. Inoltre le figure femminili che si stagliano dinanzi ai racconti sacri tendono a decontestualizzare ancora di più l’immagine nel suo insieme. La rappresentazione allora si fa fissa, i movimenti sembrano come congelati in azioni già compiute o che si stanno per compiere. Così Bellucci riesce a dare vita ad un “dialogo” surreale ma non impossibile, tra immagine ed immagine, oltre che tra immagine e pubblico. Una comunicazione alienata e alienante in cui l’artista lascia il suo ruolo privilegiato di mediatore allo spettatore. Il lavoro di Bellucci riesce così a penetrare all’interno della tragedia moderna, gridando ad alta voce un gusto estetico del tutto personale. Il fatto stesso di essere riuscito a sovrapporre e a far coesistere tematiche diametralmente opposte tra loro, rende il suo lavoro estremamente originale nell’espressione di un singolare linguaggio visivo. Quello che emerge da queste tele è sicuramente la volontà dell’artista di stimolare una sorta di coscienza collettiva nei confronti di tanta speculazione che si è verificata per secoli sulle immagini sacre. Quella stessa speculazione che oggi assume le sembianze di immagini femminili.
Giorgia Calò
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