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Mario Bertozzi: sanguigno, estroverso, ma in certe occasioni anche timido, di cui si potrebbe dire tanto, ma la definizione più giusta di se stesso l’ha data proprio lui: «Sono l’ultimo romagnolo!». La scultura è stata per lui una vocazione, proprio per il suo potere tattile di dare forma, di ricreare, persino di infondere un’anima, quell’anima che hanno tutte le creature viventi e che solo gli artisti autentici, sensibilissimi, sanno captare ai lucidi confini dell’ineffabile, e quindi della poesia. Alle sue sculture imprime un tocco di indomita energia che le rende vive e frementi; tuttavia questo impetuoso aggredire la materia per renderla docile nelle sue esperte mani, non impedisce a Bertozzi di creare anche dolcissime forme morbide e altamente poetiche, come nudi e testine di bimbi, dal modellato immediato, riuscendo così a ricrearli nella loro autenticità più profonda. Ma l’aggressività e il suo forte temperamento si realizzano pienamente nella creazione dei Tori, potenti e superbi di energie, nel Gallo, metafora della virilità per eccellenza e si sublimano nel «Gallotauro», figura simbolica generata dall’unione degli aspetti più eclatanti del toro e del gallo, le cui affinità sono incontestabili: entrambi sono simbolo di fecondità e di virilità, entrambi sono battaglieri, pieni di forza e di vitalità. Poteva un artista romagnolo purosangue come Bertozzi non cogliere le analogie, anch’esse così focosamente romagnole, di questi due animali? Come non creare un’opera di grande potenza ed efficacia espressiva, dove la materia è carica di una energia che si sprigiona come fuoco dalle viscere della terra! Raffigurazioni simili al «Gallotauro» non si ritrovano in artisti precedenti. Perciò dice bene Bertozzi quando afferma: «Più di me, parlano le mie opere, dove cerco con impeto di infondergli una parte di me stesso, raggiungendo la mia realtà».